Paolo ci presenta quindi l’azienda, riferisce delle sue principali vicende e ci racconta dei vigneti nei comuni irpini dove si coltivano le uve. 200 ettari coltivati con i principali vitigni campani: dall’Aglianico al Fiano, dal Greco alla Coda di Volpe alla Falanghina. Ci presenta quindi i vini che degusteremo, nell’ordine: il Fiano di Avellino Campore delle annate 2010, 2009 e 2007; il Greco di Tufo Loggia della Serra 2009; il rosato RosaeNovae 2013, forse l’unico dei vini pensato per essere bevuto soltanto da giovane; il Taurasi Fatica Contadina 2009; il Taurasi Pago dei Fusi dei millesimi 2008, 2007 e 2005; e infine il Taurasi CampoRe Riserva 2007, 2006 e 2003.
Man mano che andiamo avanti, Paolo ci fornisce le informazioni essenziali sui cru aziendali, sugli andamenti climatici delle annate dei vini in degustazione (con i quali copriamo praticamente l’arco temporale di un decennio). Ma l’obiettivo di questo racconto, non è quello di dettagliare la degustazione tecnica a cui abbiamo partecipato. Né tanto meno quello di fare un resoconto dell’andamento del clima in Irpinia durante questa prima parte degli anni 2000. Vorrei invece focalizzare l’attenzione sul vino che forse mi ha maggiormente colpito. Ma non perché migliore degli altri. Ritengo sia francamente impossibile optare per uno di questi vini seguendo questo criterio. La scelta è caduta sul vino-emblema di cosa può dare quella grande uva che è l’Aglianico, se è lavorata correttamente in vigna e in cantina in relazione all’andamento climatico di quella specifica annata.
Dopo lunga riflessione e non pochi tentennamenti, la scelta è caduta sul Taurasi Pago dei Fusi 2005. È un grande vino, fatto con uve Aglianico in purezza, uve che provengono dai vigneti situati in Petradefusi, sulle colline sovrastanti la valle del fiume Calore. In vigna le uve sono selezionate e raccolte a mano, mentre in cantina la macerazione sulle bucce dura 12 giorni a temperatura controllata (28°C). A fermentazione completata, il vino sosta per 14 mesi in barrique per continuare l’affinamento per almeno altri 24 mesi in bottiglia. “Almeno” ci sembra un termine quanto mai appropriato in un caso come questo.
L’annata è molto buona seppur non eccellente come la 2004 che l’ha preceduta (e che non era in degustazione). Il clima, generalmente più umido, ha fatto sì che la maggiore freschezza si vedesse sin dalla concentrazione cromatica del vino. Che ci è apparso di una veste rubino ancora profondo, con un orlo granato appena accennato. Fa impressione il contrasto con il 2007 (annata 5 stelle) e con la 2008 (molto simile alla precedente per andamento climatico), che si presentano con una intensità cromatica decisamente meno accentuata. Bellissima la lucentezza del campione che raccontiamo. Roteando il bicchiere, come tutti gli altri Taurasi in degustazione forma lacrime spesse che scendono lentamente, segno della grande struttura del vino.
Al naso il vino è intenso, ampio con profumi ancora di piccoli frutti rossi in confettura che lasciano spazio a sentori più terziarizzati di sottobosco, fungo, speziato di pepe nero e chiodi di garofano, un accenno di tabacco e liquirizia nel finale. La complessità della frazione aromatica è davvero esemplare. In bocca il vino bilancia l’alcol e la morbidezza maestosi con una frustata di freschezza e con il tannino, setosissimo ma di enorme spessore. Intenso e molto persistente (resta in bocca per minuti!) con ritorni retrolfattivi balsamici, il vino dimostra di essere armonico e di essere appena entrato nella sua maturità. La sua grande freschezza ci fa presagire ancora un lungo percorso sulla strada dell’evoluzione. Vino da abbinare sin da oggi ai grandi arrosti di cacciagione e a formaggi particolarmente stagionati.
Davvero un grandissimo Taurasi, magistrale espressione di Aglianico che proviene da questo fortunato territorio e della bravura dell’uomo che vi lavora. Di Paolo e della sua squadra che ringraziamo per le emozioni che ci regalano.
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